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L'Anubistica Solitudine

Nel precedente articolo abbiamo visto come l’immersione nel contesto sociale porti ad intense adorazioni anubistiche. L’essere in mezzo ad altri spesso non viene perpepito come scelta ma come “condizione imprescindibile”.

In realtà non lo è, è sempre una scelta: anche il non essere capaci di stare da soli è una scelta. Se uno non si impegna ad elaborare la propria condizione finisce nella condizione ben descritta da Schopenauer:

“L’uomo comune non può far nulla che non possa essere fatto in compagnia degli altri; egli è talmente parte della massa che, fuori dalla sua compagnia, si sente solo come una molecola fuori dal suo composto naturale. L’uomo saggio, invece, trova nella solitudine il suo nutrimento e la sua grandezza, mentre lo stolto scopre solo la propria stoltezza.”

Alla luce di tutte le stronzate riflessioni fatte nel precedente articolo emerge con chiarezza che la maggiore libertà si trova necessariamente nell’eremitaggio, termine che peraltro ha una accezione religiosa pertanto diciamo “nella solitudine” meglio se in completa autarchia.

Anubi, a differenza di altri déi, non risulta avesse alcun tipo di frequentazioni, si faceva anubisticamente i cazzi suoi dando esempio di vita in solitudine.

La solitudine e l’isolamento sono l’unico mezzo per raggiungere la forma più pura di libertà.

Quando una persona sceglie di vivere in solitudine, si libera dalle aspettative sociali, dalle pressioni interpersonali e dalle distrazioni del mondo esterno.

La libertà in questo senso è la possibilità di determinare la propria vita senza essere influenzati da forze esterne, di seguire i propri ritmi, desideri e inclinazioni.

Non si vuole qui fare una semplice apologia della solitudine ma semplicemente far notare che la relazione con altri e l’immersione in gruppi di umani necessariamente limitano la nostra libertà.

In più si è, più regole e limitazioni alla libertà vengono necessariamente prodotte. Più gli uomini si ammassano e più aumentano scontri, litigi e discussioni inutili e più diventano necessarie norme e leggi che limitano la libertà.

Posto che però la solitudine può anche essere percepita come una limitazione della libertà l’uomo può scegliere, se consapevole, di perdere un po’ di libertà pur di relazionarsi con gli altri.

E’ però facile capire che se il relazionare è una scelta, l’umano consapevole capirà che le limitazioni che subisce sono necessarie e fattive al raggiungimento dell’obiettivo di vivere in un contesto sociale, quindi non adorerà Anubi per ogni problema di interazione.

Se relazionare è una esigenza imprescindibile l’umano finirà a relazionarsi con chiunque senza comprendere che ciò richiede necessariamente di limitare se stesso in qualche modo.

Ciò lo porterà a rompere le divine sfere al prossimo violando il secondo precetto semplicemente perché non comprenderà che “stare in compagnia” richiede delle rinunce sostenibili solo mediante una “capacità di adattamento” agli altri.

Come gestire Anubisticamente la situazione?

Da giovani relazionare con gli altri è necessario, semplicemente perché per conoscere se stessi bisogna conoscere gli altri. Ognuno di noi ha dei limiti e solo relazionando con gli altri è possibile scoprirli.

Con il passare del tempo e l’incedere dell’inizio della vecchiaia è necessario invece a prepararsi allo “star bene da soli”.

Non affrontiamo la faccenda della psicologia della solitudine in sé perché è un altro argomento, a tal proposito si ricorda comunque che l’Illuminato Aldo Busi diceva che stare da soli ed essere soli sono due cose molto diverse.

Il Profeta ama dire: “Bisogna saper stare bene da soli e meglio in buona compagnia. Non vi è altro modo di trovare un buon equilibrio tra Libertà e Solitudine.“

“Stare soli è un piacere. Un uomo che non ama la solitudine non ama la libertà.” (Schopenauer)

Che Anubi ti aiuti ad essere libero.

Il Profeta.

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